Rifondazione per la sinistra

Un manifesto per la rifondazione

Il berlusconismo non è fascismo,è dittatura del semiocapitale

Posted by carbonetti battistino su 24 settembre 2008

L’ aver letto questo intervento mi ha fatto molto riflettere ed ho trovato in esso molte delle mie idee, lo pubblico perchè credo sia  un buon argomento di discussione

Il berlusconismo non è fascismo,è dittatura del semiocapitale

Il berlusconismo non è fascismo
è dittatura del semiocapitale

 di  Franco Berardi Bifo
E cosa induce l’ottimo Cacciari a garantire che l’Italia non sarà trascinata a combattere per il solito vincitore, che poi, strada facendo diventa lo sconfitto?
Perché insistere a chiederci se si tratta o no di fascismo? Quello prodotto da trent’anni di bombardamento televisivo è probabilmente peggio del fascismo storico, perché non si fonda sulla repressione del dissenso, non si fonda sull’obbligo del silenzio, ma tutto al contrario, si fonda sulla proliferazione della chiacchiera, sull’irrilevanza dell’opinione e del discorso, sulla banalizzazione e la ridicolizzazione del pensiero, del dissenso e della critica. Il totalitarismo di oggi non è fondato sulla censura del dissenso ma su un immenso sovraccarico informativo, su un vero e proprio assedio all’attenzione.
Non si può in alcun modo assimilare l’attuale composizione sociale del paese con la composizione sociale, prevalentemente contadina e strapaesana dell’Italia degli anni Venti. Nei primi decenni del secolo ventesimo, il modernismo futurista dei fascisti introduceva un elemento di innovazione e di progresso sociale, mentre oggi il regime forzitaliota non porta dentro di sé alcun germe di progresso, e la sua politica economica si fonda sulla dilapidazione del patrimonio accumulato nel passato. In questo Asor Rosa ha visto giusto. Il fascismo è un fenomeno di modernizzazione totalitaria, il berlusconismo è un fenomeno di devastazione della civiltà sociale della modernità. Mentre il fascismo avviò un processo di modernizzazione produttiva del paese, il regime forzitaliota ha dissipato le risorse accumulate dal paese negli anni dello sviluppo industriale, come aveva fatto Carlos Menem in Argentina nel decennio che ha preceduto il crollo di quell’economia e di quella società. Ma questo carattere dissipativo è perfettamente coerente con la tendenza principale che si manifesta nel pianeta nell’epoca neoliberista.
Il capitalismo moderno era fondato su alcune regole direttamente riconducibili all’etica protestante. Regole su cui si fondava la fiducia, elemento decisivo dell’economia borghese moderna.
Ma ora la forma weberiana dello sviluppo si esaurisce per il capitalista post-borghese il quale sa che il credito non dipende dai valori protestanti dell’affidabilità, dell’onestà, della competenza, ma dal ricatto, dalla violenza, dalla protezione familiare e mafiosa. Non si tratta di una temporanea caduta del rigore morale, di un’ondata di corruzione. E non si tratta neppure di un fenomeno di arretratezza. Si tratta di un mutamento della natura profonda del processo di produzione. La determinazione del valore ha perduto la sua base materiale, oggettiva (il tempo di lavoro socialmente necessario, come dice Marx), e ora dipende dal gioco di simulazione linguistica, dei media, della pubblicità, della produzione semiotica, ma anche dalla violenza.
Ecco allora che la prospettiva in cui vedemmo l’Italia nella passata epoca moderna ora si ribalta: proprio ciò che aveva fatto dell’Europa meridionale controriformata un luogo arretrato, ora ne fa laboratorio delle forme di potere postmoderno. Proprio ciò che aveva messo l’Italia alla retroguardia dello sviluppo capitalistico moderno, diviene il motivo della sua capacità di anticipazione. Proprio perché predomina la cultura del familismo immorale, della violenza mafiosa e del raggiro mediatico, negli anni Novanta di Berlusconi l’Italia diviene il laboratorio culturale e politico del capitalismo criminale iperliberista. La scarsa penetrazione dell’autorità statale nelle pieghe della società e dell’economia è sempre stata considerata un fattore di arretratezza e di debolezza, ma il neo-liberismo ha creato una situazione in cui gli interessi privati, gli interessi di famiglia e di clan prevalgono sugli interessi pubblici. In nome di un’ideologia della libera impresa e del libero mercato si è in effetti aperta la strada a una sorta di privatizzazione dello stato. La macchina statale non è stata ridimensionata, ma si è messa al servizio di interessi di famiglia. Questo processo non si è svolto solamente in Italia, ma qui le condizioni culturali erano particolarmente ben predisposte.
La deregulation economica ha liberato immense energie produttive, e al tempo stesso ha indebolito o distrutto le difese che la società moderna aveva costruito per proteggersi dall’aggressività predatoria del capitale.
Come al capitalismo proprietario si addiceva il decoro gotico e severo, così al capitalismo finanziarizzato si confanno sembianze barocche. A partire dagli anni ottanta, lo spirito barocco della Controriforma, che aveva impacciato le società meridionali fino a tutto il novecento, non è più un elemento di arretratezza.
Il borghese moderno era legato alla sua impresa perché le macchine, i luoghi, i lavoratori dell’industria erano la sua proprietà. Il capitalismo virtuale separa la proprietà dall’impresa, l’impresa si finanziarizza e si immaterializza. La corporation globale può spostare il suo investimento in pochi istanti senza render conto ai sindacati, alla comunità, allo stato. Il capitale non ha più alcuna responsabilità verso la società, e ormai, come abbiamo visto nel caso Enron, neppure nei confronti dei suoi azionisti. L’etica protestante non è più redditizia. E’ molto più efficace l’etica della compromissione mafiosa, del ricatto e dello scambio illegale. Nel processo di globalizzazione l’Italia non è sfavorita dall’illegalismo e dall’immoralità della sua nuova classe dirigente, come la sinistra moralista paventa. Al contrario, l’Italia diviene il paese nel quale la dittatura tardo-liberista meglio può svilupparsi.
Qui il regime incorpora comportamenti del fascismo (la brutalità poliziesca, che abbiamo visto a Genova nel 2001, l’irresponsabilità che portò l’Italia di Mussolini alla guerra catastrofica del 1940-45, il servilismo che ha sempre caratterizzato la vita intellettuale italiana). Incorpora caratteristiche proprie della mafia (il disprezzo per il bene pubblico, la tolleranza per l’illegalità economica).
Ma non per questo è una riedizione del regime fascista né come un sistema di mafia. Neoliberismo aggressivo e media-populismo sono i suoi ingredienti decisivi, ed esso funziona obiettivamente come laboratorio delle forme culturali e politiche che accompagnano la formazione del semiocapitale.
(articolo comparso su Liberazione)

5 Risposte to “Il berlusconismo non è fascismo,è dittatura del semiocapitale”

  1. nonviolento said

    Un mio primo commento.

    un testo sul quale è impossibile dissentire. In quello di Bifo ho trovato molto delle mie idee sul quello che spesso ho definito come il “nuovo fascismo” che non è più adunate, fez e olio di ricino. Mi sorpende, ma non troppo, che molti nella sinistra, specie in quella riformista del PD, non vedano tutto questo e rimangano legati alla idea che fascismo sia cosa legata a forme esteriori dalle quali esso è identificabile, che non ad un pensiero di controllo delle masse che può attraversare vari periodi storici nelle varie forme che il periodo in cui si manifesta rende più legittime.

  2. abete said

    daccordo

  3. mau68- gravissimo del comune di padova: vietate le bandiere della pace said

    Verona, bandiere della pace vietate
”Ormai sono il simbolo della sinistra”

    Guerra alla bandiera della pace
    di Gianni Ballarini, 24/09/2008

    L’amministrazione dispotica di Verona concede gli spazi pubblici alla Carovana missionaria della pace solo se non ci saranno in piazza i simboli dell’arcobaleno. La rinuncia degli organizzatori, perché non si baratta la libertà.

    Il politico, si sa, è avvezzo a infilarsi in sentieri fuoripista. Ma quello imboccato dall’amministrazione dispotica di Verona rasenta la farsa. Colto da una repentina smania di igiene totale e di pensiero unico, l’esecutivo scaligero ha deciso di fare la guerra, oltre che ai poveri e agli ultimi, anche alla bandiera della pace. Per questa giunta, infatti, una manifestazione pacifista si può fare a Verona solo se non si sventolano i colori dell’arcobaleno.

    Vittime del nuovo fronte aperto dal sindaco Tosi&c sono gli organizzatori locali della Carovana missionaria della pace, l’iniziativa del mondo missionario italiano, la quinta dal 2000 ad oggi, che dal 25 settembre toccherà una ventina di città italiane, dal Nord al Sud, per chiudersi a Roma il 5 ottobre.
    Appuntamento centrale per il Nord Italia è, appunto, la tappa scaligera: per la tradizione di Verona, per gli areniani happening dei “Beati costruttori della pace”, per la presenza di molte realtà sensibili ai temi…
    Oltre tre mesi fa, i missionari comboniani e i responsabili del Centro missionario diocesano (Cmd) inviarono agli uffici comunali la richiesta di poter utilizzare per la data del 28 settembre, piazza Bra, e per quella del 1° ottobre l’auditorium del palazzo della Gran Guardia. Per 96 giorni, il silenzio ufficiale. La pace, l’arcobaleno, i carovanieri sono temi sopportati come orpelli inutili da una giunta più attratta da prostitute, rom, mendicanti (tutti da punire) e da imprenditori immobiliari (da sostenere).
    Certo, qualche telefonata dagli amministratori è giunta agli organizzatori. Ma sempre dai toni negativi: non si può fare. Nessuno spazio pubblico alla Carovana.

    Il 17 settembre la giunta formalizza questo no. Poi – forse sollecitata da mondi esterni, forse per non fare brutta figura essendo l’unica città a non concedere spazi pubblici alla manifestazione – l’amministrazione cambia registro. Ma colta dalla fregola riparatoria, sconfina nel ridicolo. Il 19 settembre l’assessore all’Edilizia pubblica e al Turismo sociale, Vittorio di Dio, risponde con una lettera protocollata alle richieste degli organizzatori. «A rettifica della nota P.G. n. 210013 del 17 c.m. concernente la manifestazione denominata “Carovana Missionaria della Pace 2008”, sono lieto di comunicare che a seguito di un riesame di questo assessorato sulle possibilità di concedere quanto richiesto, la Giunta comunale, su mia proposta, ha espresso parere favorevole alla concessione gratuita degli spazi di Piazza Bra, zona Stella, per domenica 28 settembre dalle ore 9alle ore 19». «Inoltre – prosegue la lettera – è stato concesso l’uso gratuito della hall e dell’auditorium del Palazzo della Gran Guardia per il 1° ottobre per la realizzazione delle relative attività artistiche ed espositive».

    Tutto bene, dunque. Tranne per un “insignificante” particolare: «Quanto sopra, con il vincolo di omettere qualsivoglia riferimento partitico e di esporre unicamente bandiere istituzionali». E per Di Dio – come ha comunicato telefonicamente al direttore del Centro missionario diocesano, don Giuseppe Pizzoli – tra i riferimenti partitici c’è anche la bandiera della pace, perché «trasformata in questi anni nel simbolo dell’estrema sinistra».
    Don Pizzoli, nella lettera di risposta, oltre a ricordare all’assessore che la Carovana «è un’iniziativa di natura ecclesiale e quindi libera da qualsiasi partecipazione partitica», ha precisato che la bandiera arcobaleno «è stata usata già negli anni ‘80 dal movimento “Beati i costruttori di pace”, considerandola come un richiamo all’arcobaleno biblico, ponte di pace fra Dio e l’umanità, ed è poi venuta ad avere un significato particolarmente forte all’inizio di questa decade con la campagna “Pace da tutti i balconi”, richiamando ancora una volta un ponte tra il Dio della Pace e tutti “gli uomini di buona volontà” (ricordando il canto degli angeli a Betlemme). Il fatto che questo simbolo sia anche stato abusivamente assunto da una parte politica con quella che potrebbe essere considerata una appropriazione indebita, ci rammarica, ma non ci toglie il diritto di continuare a considerare e ad usare la bandiera “della pace” come il simbolo e l’espressione propria del nostro movimento ecclesiale in favore della pace, dono di Dio per gli uomini e per tutti i popoli». E dopo aver ribadito di trovare inaccettabile il vincolo posto, il direttore del Cmd ha chiuso la lettera annunciando a Di Dio di rinunciare alle richieste fatte: «Preferiamo mantenere la nostra libertà e autonomia a svolgere le nostre manifestazioni in ambienti ecclesiali».

    Come dire: la dignità non è merce di scambio.
    dal sito nigrizia.it, la rivista dei padri missionari comboniani

  4. nonviolento said

    Bravi i Padri Comboniani, ma su di loro non avevo alcun dubbio. Coomentare le parole della giunta è del tutto inutile, parlano da sole.

  5. […] Il berlusconismo non è fascismo, è dittatura del semio capitale “[…]I legami sociali perdono valore, i cittadini ragionano come clienti, il mercato produce la società, io esisto perché possiedo (merci, forza, potere) e non perché parlo con te, tu sei non il dono della differenza ma la minaccia della diversità, se il mio reddito e la mia casa sono a rischio io avrò paura e cercherò il colpevole della mia paura, punirò il colpevole della mia paura. […] Noi pensiamo che sia urgente tornare in campo: non con la passività delle curve, ma con una invasione del campo delle idee, praticando conflitti, ritessendo fili di socialità, costruendo saperi. Tornando a nominare le cose, ripulendo le parole da tutte le lordure ideologiche e pubblicitarie con cui sono state manipolate, ecco curando: le parole malate con cui ha infettato le proprie ambizioni, le parole che l’hanno imbalsamata nel dogmatismo, quelle che l’hanno spenta nel trasformismo[…]“ […]

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